ArtShaker #82: parola e immagine nei dipinti di Cheri Samba

L’allestimento della mostra Magiciens de la terre nell’estate 1989 al Centre Pompidou di Parigi – in occasione del bicentenario della Rivoluzione Francese – segna il momento di svolta per la costruzione dell’ideale dell’arte africana contemporanea. Tuttavia, quest’ultima è un insieme caleidoscopico di tante tipologie d’espressione artistica, ciascuna con le proprie peculiarità e caratteristiche; fornire una definizione univoca equivarrebbe a generalizzare un fenomeno ampio e complesso tanto quanto quello dell’arte contemporanea europea ed occidentale che però – faccio notare – non viene mai definita tramite queste qualificazioni su base prettamente geografica.

1. Marche de soutien à la campagne sur le SIDA, 1988, olio e glitter su tela, 134,5 x 200 cm, Parigi, Centre Pompidou
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Accanto alle produzioni di artisti africani di formazione accademica e di respiro maggiormente internazionale e all’arte schiettamente turistica si sono sviluppate nel corso del XX secolo nuove correnti artistiche. È nata, ad esempio, una forma d’arte meno armoniosa di quella coltivata nelle scuole d’arte, «più squilibrata e ricca di contrasti visivi» come la definisce Ivan Bargna, specchio delle contraddizioni della società contemporanea, in particolar modo in epoca post-coloniale. Esponente di questa corrente artistica che privilegia tinte accese, accostamenti di colori complementari e una certa bidimensionalità è il congolese Cheri Samba, la cui fortuna si deve in buona parte al progetto di lancio di alcuni artisti africani contemporanei portato avanti dal curatore francese Andrè Magnin e le cui opere negli anni sono entrate a far parte di innumerevoli collezioni internazionali, tra cui quella del Centre Georges Pompidou di Parigi (Fig. 1), quella del MoMA di New York (Fig. 2) e quella ginevrina di Jean Pigozzi (Fig. 3), uno tra i maggiori collezionisti di arte africana contemporanea. Alcune sue opere provenienti dalla collezione del recentemente scomparso Sindika Dokolo sono state, inoltre, incluse nell’unico padiglione “continentale” della LII Biennale di Venezia: il Padiglione Africa del 2007 dove era allestita l’esposizione Check List Luanda Pop, vincitrice del concorso indetto da Robert Storr, l’allora direttore della sezione Arti Visive della Biennale ed ex curatore della sezione Pittura del MoMA.

Fig. 2: Condemnation without Trial, 1889-90, smalto alchidico e glitter su tela, 148,3 x 200,7 cm, New York, Museum of Modern Art
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Nei dipinti di Samba – raffiguranti soprattutto fatti di cronaca, problematiche sociali ed episodi della storia recente – la parte figurativa è quasi sempre accompagnata da un apparato testuale in lingua francese o lingala; si tratta di didascalie o fumetti che dovrebbero aiutare a decriptare il significato insito nell’opera ma che raccontano soltanto la versione ufficiale dei fatti, quella trasmessa dai media. Le immagini, invece, narrano storie diverse, spesso contrapposte o analizzate da punti di vista differenti, tra cui quelli di chi quei fatti li ha vissuti in prima persona.

Fig. 3: J’aime la couleur, 2003, acrilico e glitter su tela, 206 x 296,7 cm, Ginevra, Jean Pigozzi Collection
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Ecco allora che viene a crearsi un corto circuito di significati in cui la parola diventa, in conclusione, parodia ed amara constatazione di quanto sia facile controllare socialmente la stampa e la comunicazione pubblica, mentre l’immagine funge da medium per convogliare la versione dei fatti ritenuta veritiera dall’artista. Tuttavia, l’apparato testuale non recide totalmente i suoi rapporti con il visibile, ma trova una sua significatività non limitandosi a preservare il mero significato della parola, ma ribadendo o spesso confutando i concetti espressi verbalmente attraverso un’accurata elaborazione grafica.
Il ricorso alla scrittura, però, ha nella volontà di Samba anche un altro significato. Marca una netta distinzione sociale tra chi è alfabetizzato e chi può invece comprendere soltanto in minima parte il reale senso delle sue opere e rende monosemiche opere che in realtà sono volutamente polisemiche. Un’arte elitaria per un’artista che ha voluto coniare per se stesso e per alcuni suoi colleghi come, ad esempio, il congolese Salumè ed i ghanesi Anthony Akoto e Ofori Danso, l’etichetta di Arte Popolare Africana, ma anche un’arte che gli ha permesso di inserirsi nel mercato internazionale dell’arte, a scapito purtroppo di tutto quel bacino ricettivo composto dalla popolazione analfabeta.

Fig. 4: Lutte contre les moustiques, 1989, acrilico su tela, 90 x 110 cm, New York, A. Nosey Gallery
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Gli artisti della sua generazione si trovano, infatti, ad operare a cavallo tra due tradizioni, quella delle loro famiglie – cresciute in periodo coloniale e precoloniale – e la loro, esito di un mondo sempre più globalizzato. Certamente la decolonizzazione ha portato trasformazioni e mutamenti, ma non bisogna cadere nella trappola che ci porterebbe a considerare l’arte antica migliore e soprattutto più “vera”.
Il reale esplode nei dipinti di Cheri Samba che ci narra della gente comune, che utilizza materiali semplici come supporto – ad esempio i più economici sacchi di farina al posto delle tele – e i cui dipinti a prima vista appaiono essenzialmente mimetici nel raccontare visivamente problematiche come la lotta all’AIDS, la mancanza d’acqua o i processi sommari nei confronti delle fasce più deboli della società – solo per citarne alcune – le quali, tuttavia, sono conosciute perfettamente dalla popolazione locale perché parte della propria quotidianità. È il caso di alcune tra le più note opere di Samba come Lutte contre les moustiques – realizzata in più versioni a partire dal 1989 (Fig. 4) – o Les economistes à bicyclette del 2001 (Fig. 5) che pongono al centro tematiche sociali come la lotta alla malaria o lo sfruttamento capitalistico delle risorse locali da parte delle multinazionali estere. L’artista realizza spesso diverse versioni della medesima opere, spesso quasi identiche o con qualche leggera modifica allo scopo di garantirne la più vasta diffusione possibile, come da lui stesso dichiarato. Sono narrazioni visuali, racconti visivi che sembrano attingere alla fumettistica e alla vignettistica satirica affondando però le radici nella secolare tradizione dei manoscritti miniati, tutti casi in cui il rapporto testo-immagine è stretto, eloquente ed imprescindibile.

Fig. 5: Les economistes a bicyclette, 2001, acrilico su tela, 81 x 101 cm
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Ecco allora che la scrittura ottiene un’ulteriore giustificazione in quanto conduce lo spettatore a soffermarsi per leggere, dedicando più tempo all’opera, impedendogli di ammirarla semplicemente di sfuggita. L’Arte Popolare Africana – come afferma Valentin Y. Mudimbe – è «sia racconto che arte», è una narrazione il cui finale è scelto dall’artista, un discorso apparentemente concluso che, invece, proprio per le tematiche trattate, continua a germogliare, a generare nuovi dibattiti e, chissà, magari anche qualche cambiamento.
Se l’immagine è ciò che in maniera più immediata ci “salta all’occhio”, la parola è ciò che l’artista stesso definisce «Samba signature», la sua personale firma.

Bibliografia essenziale
Bogumil Jewsiewicki, Cheri Samba and the postcolonial reinvention of modernity in “Callaloo”, vol. 16, n. 4, autumn 1993, pp. 772-795
Ivan Bargna, Arte africana, Milano, Jaka Book, 2003
Eriberto Eulisse (a cura di) Afriche, diaspore, ibridi. Il concettualismo come strategia dell’arte africana contemporanea, Repubblica di San Marino, AIEP Editore, 2003
Jean-Loup Amselle, L’arte africana contemporanea, Torino, Bollati Boringhieri, 2007

Articolo pubblicato da Linda Salmaso

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